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Hombre del partido

Giorgio Salvagno, mister dello Juventus Club

Nuova puntata e quindi nuovo personaggio per la nostra rubrica “L’Hombre del Partido”. Negli ultimi mesi, parlando con allenatori, giocatori, dirigenti che fanno parte dell’universo del calcio a 5 regionale, spesso mi è capitato di sentire il nome di Giorgio Salvagno. E questo nome spesso arrivava come riposta a domande tipo “Chi consideri il miglior allenatore in regione?”, oppure “Chi è un mister che può fare la differenza?”. Insomma tanti addetti ai lavori mi parlavano di questo Salvagno, dei suoi giovani dello Juventus Club, dell’ottimo campionato che sta facendo in serie C: a questo punto non potevamo non andare a parlare con lui, a farci raccontare dei “suoi” giovanotti, di difficoltà, successi, propositi per il futuro che, speriamo, possa abbandonare. Ne è venuta fuori una chiacchierata a 360 gradi sul mondo del futsal, con molti spunti interessanti tra cui uno in particolare, riguardante l’atteggiamento (inteso come spirito di sacrificio, voglia di sudare e di emergere) delle nuove generazioni di sportivi, che richiede un attimo di attenta riflessione da parte di molte persone.
A tutti, buona lettura.

Mister Salvagno, non potevo non intervistarti: troppe persone mi hanno parlato benissimo di te.
«Davvero? Non posso che essere lusingato da tutti questi complimenti. Non so se me li merito, comunque li accetto volentieri».

Stai conducendo una squadra molto giovane. Per scelta o per necessità? Come è nato il progetto Juventus Club?
«In rosa abbiamo parecchi ragazzi sotto i 25 anni, tra cui tre classe ’89, uno ’88, e poi altri nati tra l’83 ed il ’79 al massimo. La media è decisamente molto bassa. Quando il presidente Bedin mi ha chiamato tre anni fa per farmi allenare la squadra, abbiamo scelto di puntare sui giovani. Ed abbiamo, con fatica, mantenuto quelle intenzioni».

E l’arruolamento dei ragazzi in questi anni è stato difficile?
«In linea di massima abbiamo preso giovani che abbandonavano il calcio ad 11 per passare al calcio a 5. Devo dire di aver trovato delle ottime basi dal punto di vista tecnico: molti ragazzi, infatti, sono arrivati già validi da questo aspetto. Alcuni col tempo se ne sono andati, come Marino che è approdato al Bubi, Veronese al Laives o Crupi alla Bolzanese, ma altri sono rimesti, come Casarin che è il nostro capitano ed è rimasto a fare un po’ da “chioccia” a ragazzi molto forti, come Zuppa, Rosini o Bentivoglio giusto per citarne alcuni. Comunque è assolutamente normale che altre società vengano a chiederci i giocatori: sono convinto che non esistano cicli eterni, e quindi è giusto che alcuni provino nuove esperienze ed il fatto che le altre squadre vengano a pescare da noi non può che farci piacere».

Il campionato come sta andando? Riuscirete a salvarvi? Il Green Tower vincerà?
«Siamo partiti maluccio, anche perché abbiamo avuto un po’ di difficoltà di rosa, eravamo in pochi e non siamo riusciti a fare una preparazione adeguata, cosa che ritengo indispensabile per poter fare bene. Così fino a dicembre i risultati sono stati modesti. Poi abbiamo iniziato a crescere, a fare punti, a giocare bene. Il nostro obiettivo resta la salvezza, ma non lo abbiamo ancora centrato e sarà ancora durissima. Ogni venerdì, contro ogni squadra, è veramente difficle: tutte le avversarie sono competitive, nessuno ti regala niente e tutte mettono grande grinta in campo. Diciamo che siamo in piena corsa, speriamo di riuscire a farcela. In vetta invece direi che i giochi sono praticamente fatti: il Green Tower credo vincerà, meritatamente, soprattutto grazie alla grande continuità che ha avuto. Hanno centrato vittorie su vittorie e non è stata certamente un’impresa facile. Ci sono altre squadre ben attrezzate, ma loro hanno un grande gioco di squadra e molto merito va a Righi, uno che di calcio a 5 ne sa qualcosa visto che calca i parquet da tanti anni».

Come vedi il livello del futsal regionale visto che sono dieci anni che, tra Holiday e Juve Club, segui la serie C?
«Direi che il primo dato che balza all’occhio è che c’è poco ricambio. È difficile vedere facce nuove: ogni tanto qualche squadra pesca il jolly trovando giocatori validi, ma in linea di massima i nomi sono gli stessi da qualche anno. Per giudicare il livello bisogna guardare fuori dai nostri confini: appena usciamo dalla regione siamo in difficoltà e questo è dato dal fatto che qui non c’è ancora una cultura del calcetto. Il nostro è uno sport molto tecnico e particolare, non ci si improvvisa giocatori di futsal, ma lo si diventa con il tempo. E le basi bisogna necessariamente impararle da giovani, altrimenti si può solamente migliorare».

E come si fa a creare questa cultura del calcio a 5?
«Le acque in questi ultimi anni si sono un po’ mosse: si è creato un movimento, c’è la quantità, ma il prossimo passo è quello di lavorare sulla qualità. Credo che una soluzione possa essere creare una collaborazione con il calcio a 11. Molte società hanno settori giovanili ampi, con tanti ragazzi che però non giocano, o smettono, o vanno in tribuna. Poiché il calcio a 5 può essere propedeutico per quello a 11 sarebbe costruttivo per entrambi i settori creare una sinergia tra le due parti. Ma la chiave di tutto è tirarsi su le maniche e lavorare».

Tra Trentino ed Alto Adige che differenze ci sono? Le squadre altoatesine sono meno, ma forse c’è più qualità (oltre al Bubi in B, in serie C le compagini sudtirolesi sono seconda, terza e quarta oltre allo stesso Juve Club e Holiday che sono più dietro ma che stanno comunque disputando un bel torneo). In Trentino, invece, il calcio a 5 ha avuto un vero e proprio boom con tantissime squadre, ma forse manca un po' di qualità. Cosa ne dici?
«Senza dubbio, almeno nei numeri, ci sono grandi differenze. Credo che in Alto Adige ci siano meno squadre per il fatto che il calcio a 5 non ha preso piede nel contesto di madrelingua tedesca. Inoltre, forse, i numeri dipendono dal fatto che in Trentino hanno tolto alcuni campionati del calcio a 11, come la III categoria, mentre in provincia di Bolzano esiste ancora».

Quanti allenamenti fate in settimana?
«Questo è un tasto dolente. Fino all’anno scorso ne facevamo due, nella convinzione che per migliorare è necessario andare in palestra il più possibile. Mio malgrado quest’anno ne facciamo uno solo, per il semplice motivo che si fa fatica a portare la gente ad allenamento. I ragazzi hanno sempre meno voglia di impegnarsi, fare sacrifici, sudare per migliorarsi, hanno mille impegni e preferiscono magari stare a casa a guardare la Champions League o le partite infrasettimanali alla Tv piuttosto che venire in palestra. Di certo la carenza di strutture non ci agevola il compito: quest’anno siamo stati costretti ad allenarci ad orari proibitivi, dopo le 21.30 e non è facile per chi lavora o studia tutto il giorno».

Toglimi una curiosità: ma siete tutti juventini in squadra?
«No, direi proprio di no. Io per primo sono milanista ed all’inizio devo dirti che ho un po’ faticato ad andare in una società che porta questo nome. In realtà i bianconeri in società non sono tantissimi: ci sono il presidente Bedin, il direttore sportivo e qualche giocatore. Il presidente è un super tifoso, è sfegatato. Il Club è molto attivo e organizza pullman per le partite oltre alla festa annuale alla quale intervengono anche giocatori della serie A. Diciamo che però il nome Juventus può anche essere letto come “gioventù”, quindi come squadra giovane».

Nel futuro che idee o progetti hai?
«Devo essere sincero e ti dico che l’idea è quella di ritirarmi dal mondo del calcio a 5. Intendiamoci, mi piace, è importante, ci tengo molto, ma per come sono abituato io a prendere gli impegni sta diventando pesante e poco gratificante. A livello economico il ritorno è pari a zero, ma quello non è un problema. Il problema sono le soddisfazioni: se ci si prende un impegno lo si porta a termine, a livello generale (e noi siamo abbastanza fortunati in questo senso) vedo un po’ di svogliatezza. Le cose o si fanno bene o non si fanno, a volte si ha l’impressione di perder tempo, soprattutto quando si passano le notti in bianco pensando alle partite appena giocate. Comunque vedremo a fine stagione».

In conclusione ti lascio uno spazio per ringraziare, salutare o dire ciò che vuoi.
«Ringrazio chi mi ha dato retta in questi anni - chi legge sa di chi parlo, non serve fare nomi e cognomi – e chi mi ha dato la possibilità di allenare».

Autore
Matteo Lunelli
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